Per chi ha avuto modo di leggermi nel corso degli ultimi 12 anni, sa perfettamente che non sono mai stato un amante della bicicletta. Mi sono sempre spostato in auto, metro o scooter. Soprattutto scooter. Con questo mezzo ho fatto decine e decine di migliaia di chilometri girando per Milano.
Poco più di un mese fa, complici diversi fattori, ho preso in considerazione la possibilità di muovermi prevalentemente in bici. Una scelta che, lo dico subito, ancora oggi un po’ mi stupisce.
Ve la dico tutta: arrivato a circa 6 mesi dalla fatidica cifra dei “50 anni”, ho penosamente notato in me un cambiamento che mai, sottolineo, mai avrei pensato potesse riguardare anche me. Mi sono trovato, io che ho sempre veleggiato (salvo rari momenti in cui mi sono concentrato sullo sport) intorno ai 75 chilogrammi, a prendere 10 kg che si sono magicamente concentrati sulla pancia.
Ci sono due cose che non riesco a digerire: la perdita dei capelli e la crescita della pancia. Mentre per il primo devo rassegnarmi, sul secondo so che qualcosa posso fare. Ed ho quindi iniziato una dieta ferrea, una di quelle diete che mi portano ad avere fame 25 ore al giorno. Ma resisto. E non solo. Visto che i risultati sono più lenti di quel che speravo, ho pensato a cos’altro poter fare.
Da qui l’idea della bici: mi muovo tanto, mi sposto da una parte all’altra della città, quindi perchè non unire l’utile a….. all’utile? Ho superato la mia resistenza di non capire per quale motivo dover muovere le gambe per spostare dei pedali e quindi delle ruote, quando molto più agevolmente una torsione di polso sull’acceleratore avrebbe ottenuto lo stesso risultato e, grazie all’amico Giuseppe, eccomi dotato di una bici da città.
Portapacchi, porta telefono, catena e via, sono partito. Primo giorno: poco meno di chilometro, ma ero ridotto come se avessi fatto la Milano – Sanremo (andata a ritorno). Volevo morire: le gambe gridavano vendetta. Sembravo Fantozzi. Un incubo. Ma ho perseverato.
Ho provato a raggiungere fermate della metro, poi qualche chilometro in più fino ad arrivare all’appuntmento in centro. Le prime volte, figuracce tremende: sudato come se avessi attraversato il Sahara su una gamba sola, senza sosta. Un incubo. Ma non ho mollato.
In questo momento in cui scrivo sono appena tornato da porta Venezia. Porta Venezia – San Siro: solo 3 mesi fa avrei pensato di morire in zona San Babila. E invece eccomi qua. Le gambe fanno male, ma non urlano, il fiato non è ancora del tutto recuperato e mi sembra che faccia caldissimo, anche se oggi è nuvoloso e si sta bene tutto sommato.
Durante questi spostamenti, per me nuovi nonostante conosca le strade a memoria, ho avuto modo di notare diverse cose, che mi hanno sorpreso. Alcune in positivo altre molto meno.
Partiamo da un dato: abituato ad altri mezzi di spostamento, con la bicicletta NON vado sui marciapiedi. Non ci riesco. Non lo ritengo idoneo nè sicuro. Percorre le strade e ai semafori mi fermo. Sì, se è rosso mi fermo. E non è solo per riprendere fiato. Se con lo scooter mi devo fermare, perchè non devo farlo anche con la bici? Lo chiedo perchè ho notato spesso e mal volentieri che la maggior parte di chi si sposta con la bicicletta non lo fa: rallenta, ma passa. A prescindere dal colore del semaforo. E, scusate se lo dico, la scusa che ho sentito che è più faticoso ripartire quando ci si ferma, non regge. So che si fa più fatica, ma che vuol dire?
Ho apprezzato, e devo dirlo, tanto, le piste ciclabili che ho trovato spostandomi per Milano. Alcune sono davvero fatte bene. Meno, molto meno apprezzamento a quelle strisce di colore che delimitano, per esempio, la via Novara. E’ per me un passaggio obbligato per andare in direzione centro. Posso assicurare che, in particolar modo al mattino, sono una cosa terribile. Per chi si sposta in bici e per chi va con altri mezzi. A mio avviso da rivedere.
Discorso sicurezza: ho passato gli ultimi 20 anni in giro con lo scooter. Dovevo avere mille occhi: cercare di capire prima ancora che accadesse, quale fosse l’intenzione dell’automobilista che veniva in senso contrario al mio. Fidarsi? Mai. Questo potrebbe avermi aiutato e potrebbe influire sulla mia percezione: non ho trovato, fino ad oggi, grandi situazioni di pericolo. Certo, il traffico in zone centrali della città, costringe chi si sposta sulle due ruote ad essere molto più attento, ma tutto sommato, non ho mai riscontrato situazioni di vero pericolo. Mi direte: datti tempo. Può essere per carità, ma permettetemi una osservazione.
Se tutti, tutti, compresi i miei nuovi compagni di viaggio a due ruote senza motore, rispettassero TUTTE le indicazioni, segnaletiche ed avvisi, FORSE la situazione potrebbe essere migliore. Evirare di far girare camion in città? Potrebbe essere un’idea, certamente, ma forse sarebbe il caso di capire prima come fare per i rifornimenti vari che le attività meneghine necessitano. Risolto questo aspetto, togliamo pure tutti i camion.
All fine di tutto, cosa ho capito per ora? Due cose.
La prima: in bici la città si vede da Dio. Bellissimo. Ancora più bello che con lo scooter. Lo confesso. Ho raggiunto punti meravigliosi della nostra città che solo questo nuovo mezzo, per me, mi ha dato modo di notare. E di questo sono felicissimo.
Secondo: il ciclista metropolitano si sente un po’ come l’automobilista con la targa straniera: può fare tutto. Passare con il rosso, andare sui marciapiedi, andare contromano… Ne ho visti, eccomi se ne ho visti. Li notavo anche prima, ma oggi, nelle stesse loro “condizioni”, mi pare ancora più grave.
Ognuno deve fare il suo. Come sempre. Troppo spesso, ancora oggi, si dà la colpa all’altro. Può essere, per carità. Ma “Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?