Leggo che dopo la quarantena, in città si vive con minor stress. La questione è stata trattata con puntiglio, spiegando che ad esempio, grazie agli ingressi contingentati, i musei si possono gustare appieno, senza appunto lo stress delle code e dei tanti che aspettano dietro di noi per ammirare le opere.
Ora, probabilmente io sarò la persona al mondo meno indicata a trattare questo argomento, visto che lo stress è un mio compagno di vita praticamente da sempre, con il quale condivido tutto, dalla mattina alla sera 366 giorni l’anno (sì questo 2020 qualora ve lo foste dimenticato è bisesto).
Provo però per un attimo ad abbandonare questa mia particolare condizione e mettendo assieme pezzi di vita quotidiana che mi sono stati raccontati un po’ qui ed un po’ là, ecco come la giornata di un milanese qualsiasi si traduce in un appuntamento certo con lo stress.
Partiamo da una banale uscita, per fare quattro passi: esci di casa, chiudi la porta, prendi l’ascensore, esci dal palazzo, attraversi la strada e… azz, la mascherina. Attraversi la strada, entri nel palazzo, prendi l’ascensore, apri la porta, cerchi la mascherina, prendi la mascherina, chiudi la porta…
Che caldo questa mattina, ho già la testa pesante. Va bè, devo andare a fare la spesa. Entri nel supermercato e ti aspetta il CTC, ovvero il Controllo delle Temperature Corporee. E mentre sei lì che aspetti che clicchi il bottone per sapere la tua temperature, speri di arrivare al massimo a 37,4 perchè altrimenti ti si prospettano momenti… che non vuoi neppure prendere in considerazione. E quanto ti dice 35,8 tiri un sospiro di sollievo, senza pensare per un attimo che hai la stessa temperatura di un rettile.
Mentre sei al super devi cercare di prendere quello che ti serve facendo il solito slalom tra carrelli e persone, con la difficoltà in più che devi stare a debita distanza. Facile a dirsi, ma nella pratica… che fatica a volte.
Senza dimenticare che prima di iniziare a mettere le cose nel carrello hai dovuto passare dai 20 secondi ai 20 minuti tentando di aprire i guanti monouso, sui quali poi hai messo il gel disinfettante che allontanerà i virus certamente, ma se non afferri per bene la mela che hai preso dal cesto, questa parte modello palla da baseball e ti aspetta direttamente in cassa.
Ma la vita non è solo supermercato. Vai anche al bar a prendere un caffè, che diamine. E mentre sei lì che aspetti la tua tazzina, tieni una mano sulla mascherina pronto ad abbassarla per gustarti la tua dose di caffeina, mentre pensi se…la tazzina sarà stata lavata bene. Il dubbio ti passa non appena la appoggi alla bocca: solo la ceramica è sui 400° e ha distrutto il virus, il tuo labbro e qualche decina di migliaia di papille gustative.
Finalmente in auto, da soli, a fare un giretto. Senza traffico, parcheggi liberi: bellissimo. Talmente bello che… mi fermo qui, è tanto che non vedo questa zona. Parcheggio, scendo dall’auto, mi incammino. Ma che caldo… entro al bar per una bottiglietta d’acqua. Ah, azz, la mascherina. Torno indietro, apro la macchina, eccola, sul sedile del passeggero. Mi stava aspettando. Va be, fa niente, non sto a tornare indietro. Torno a casa.
Arrivo, parcheggio, salgo. Finalmente tra le mura domestiche. Mi rilasso, accendo la tele. Stanno dando il numero di nuovi contagi. Spengo, non voglio sapere. Vado a buttare la spazzatura. Preparo i sacchetti, metto i guanti. Ma dov’è la mascherina? In auto ovviamente.
Aveva ragione l’articolo: a Milano dopo la quarantena lo stress non è più quello di prima. E’ tre volte tanto!