Se è noto il ruolo decisivo svolto dai monaci amanuensi nel preservare la cultura antica negli secoli dell’Alto Medioevo, nel giorno di Ambrogio ci si permetta una piccola riflessione sui vescovi.
Mentre il potere imperiale si frantumava e parcellizzava, nei monasteri si copiavano i testi antichi mentre nelle diocesi il fior fiore dell’aristocrazia e del talento imparava a farsi macchina politico/amministrativa e a sopperire a ciò che andava sgretolandosi, per ricomporne i cocci in forme nuove.
Ambrogio è esempio, stampo, pioniere di un modello cui guarderanno nei secoli Papi, Vescovi e Cardinali.
Acclamato dal popolo milanese, uomo di Stato scelto a furore anche Princeps Ecclesiae, egli incarna nella stessa figura, agli albori della Chiesa, i due ruoli decisivi di pastore e guerriero.
Ai milanesi, come già accadeva e come a lungo accadrà, il fatto che venga da lontano non costituisce problema, perché sappiamo che la milanesità non è qualcosa di dato una volta per tutte, bensì una realtà viva che si plasma e continuamente trasforma con il determinante contributo di chi la sceglie, di chi vi si trasferisce con coraggio e amore, e non certo solo di chi vi nasce.
In questo duplice aspetto, nella gigantesca ed esemplare rilevanza storica e nel suo essere così da subito milanese e popolare, l’aristocratico tedesco irrompe ogni sette dicembre nella memoria e nel senso comune dei milanesi, dentro e oltre l’affievolito ma non spento fermento religioso, e dimenticarci di Lui sarebbe impossibile o peggio fatale, perché se ci sentiamo milanesi e abbiamo un’identità (anche liturgica!), un “modus amministrativo” e un rapporto tra popolo suoi rappresentanti ancora basato su un senso civico, deferenza e spirito di servizio… ebbene, tutto parte da là, tutto, con Ambrogio ha inizio!