Dino Meneghin: un nome che, appassionati o meno di pallacanestro, tutti conoscono.
Superfluo entrare nel merito e raccontare una carriere incredibile: vi basta aggiungere, a tutto quello che ha fatto, il riconoscimento del ritiro della mitica maglia numero 11 deciso dalla Olimpia Milano.
Quello che non potete sapere è l’incontro o per meglio dire gli scontri e l’incontro che ho avuto io con il grande Dino Meneghin.
Spostiamo indietro la lancetta del tempo di qualche decennio ed arriviamo verso la fine degli anni ’80. Giocavo a basket e dopo alcuni anni in squadre minori approdo nelle giovanili della Tracer. Capitava abbastanza spesso di incontrare sul parquet la prima squadra, ma era per l’appunto un avvistamento veloce.
Capitò però un giorno, evidentemente per l’assenza di qualche ragazzo più grande di me, che mi venne chiesto, leggasi ordinato, di stare in campo per un allenamento proprio con la prima squadra.
Caratterialmente non ho mai sofferto di quell’ammirazione che paralizza: felice certamente, impaurito senza ombra di dubbio ma l’emozione veniva tenuta a freno dalla concentrazione.
Mi ritrovai quindi a giocare “contro” questi grandi (la squadra, per chi ha memoria contava oltre al grande Dino Meneghin, un certo Mike D’Antoni, Premier, Barlow, MacAdoo...) e fu un’esperienza quasi surreale. Vedevo a pochi centimetri quello che facevano, come passavano la palla, come tiravano.
E fui colto ovviamente dallo spirito agonistico e… quello fu il mio errore. Dopo forse 10 minuti di gioco, un tiro della prima squadra non entra e salto a rimbalzo: prendo la palla e mentre la passo ad un mio compagno mi accorgo che dietro di me c’è lui, Dino Meneghin. Avevo preso il rimbalzo prima di lui.
Probabilmente la soddisfazione di quella che per me era un’impresa fu troppo evidente. Non che saltai dalla gioia, ma come dire… lui capì che ero soddisfatto di quello che avevo fatto.
Due azioni dopo, stessa scena: tiro, palla che rimbalza sul ferro, io che salto e…. su di me l’eclissi: l’ombra del gigante mi sovrastò e nel buio sentii solo “MIA!”. A cui seguì un movimento tipico di chi prende il rimbalzo. Ed io ero lì a pochi centimetri. Il gomito di Dino Meneghin si posò sul mio sterno.
Seguirono diversi secondi di apnea: una botta mai vista. Un tatuaggio sullo sterno che mi accompagnò per settimane. Ben mi stava. Avevo voluto osare. E quando uscii dal campo impossibilitato a proseguire, una pacca sulla spalla mi fece capire che era tutto a posto.
L’ho incontrato poi tanti tanti anni dopo in occasione di Scherzi a Parte. Io avevo smesso di giocare da secoli, lui… lui era sempre Dino Meneghin. Gli raccontai questo episodio, ma ovviamente non poteva ricordare.
Se mi concentro bene ancora oggi, oltre 30 anni dopo, sento ancora quella fitta sullo sterno. Un ricordo tutto mio del mitico Dino!