Barbapedana, è un artista di strada della tradizione popolare milanese.
Non si ha una conoscenza precisa di quanti artisti nel corso dei secoli abbiano adottato questo nome. Il più famoso, e l’unico di cui tutte le testimonianze parlano, fu Enrico Molaschi. Tra la seconda metà del XIX secolo e gli inizi del XX, si esibiva nelle osterie intrattenendo i clienti con canzoni popolari e filastrocche.
Anche se Barbapedana è spesso considerato una figura tradizionale dei cantastorie milanesi tra il XVII e il XIX secolo, l’origine di questa tradizione rimane incerta e non si sa se ci siano stati altri cantastorie prima.
Anche se le testimonianze su Barbapedana sono scarse, (quasi) tutte si riferiscono a Enrico Molaschi: Arrigo Boito racconta di averlo incontrato in un’osteria a Porta Tosa intorno al 1862, descrivendolo come un trentenne con capelli e occhi neri, un cappello di feltro all’italiana e “due braccia possenti, adatte a lavori d’atletica”.
Molaschi, nato a Milano, iniziò la sua carriera a Paullo, dove si trasferì da giovane e imparò i primi rudimenti della chitarra. Una volta a Milano, in pochi anni conquistò una vasta popolarità tra i frequentatori delle osterie. La sua fama attirò l’attenzione della regina Margherita di Savoia, che lo invitò a esibirsi alla Villa Reale di Monza e gli regalò una nuova chitarra.
«Barbapedana el gh’aveva on gilèt
senza el denanz, con via el dedree;
cont i oggioeu longh ona spanna
l’era el gilèt del Barbapedana.»
Molaschi si esibiva principalmente con filastrocche, canzoni popolari milanesi e brani di sua composizione, spesso improvvisando in base al pubblico presente: Luigi Medici ricorda la sua capacità di passare da un repertorio “corretto e raffinato, per i clienti rispettabili, a uno più vivace, adatto a certe coppie birichine che si nascondevano in fondo al locale o nell’ombra di una sala appartata”.
Una delle sue canzoni più famose, ancora oggi diffusa e cantata dai musicisti dialettali, è El piscinin. Abile nel fischio e dotato di uno stile chitarristico energico, si esibì almeno fino ai primi anni del 1900, quando, anziano e povero, trascorse gli ultimi anni al Pio Albergo Trivulzio. Già da dieci anni aveva perso i denti e non poteva più cantare le sue canzoni, limitandosi a fischiarle.
Barbapedana, el gh’aveva on gilèt…
Nel 1908 furono pubblicate le uniche due foto esistenti per un articolo su di lui su Ars et Labor, una rivista edita da Casa Ricordi. Già nel 1880, Giulio Ricordi aveva trascritto e pubblicato alcune delle canzoni di Barbapedana in una raccolta di canti popolari lombardi, L’eco della Lombardia. La sua chitarra è oggi conservata nel Museo degli Strumenti Musicali del Castello Sforzesco di Milano (catalogo numero 54).
Sebbene l’origine del termine Barbapedana non sia nota con precisione, sono state avanzate varie ipotesi sulla sua provenienza e su una possibile tradizione ad esso legata. Il termine sembra fosse già in uso nel XVII secolo, anche se con un significato diverso: compare nel Barone di Birbanza di Carlo Maria Maggi, dove indicava giovani audaci che seguivano la moda dell’epoca portando la cappa a mo’ di bandiera sulla spada.
Presso la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia è conservata un’antica stampa popolare intitolata Nuova pifferata del valoroso Barba Pedana, pubblicata a Bologna, probabilmente nel XVII secolo. Da questo si potrebbe ipotizzare un’origine non milanese di Barbapedana. Arrighi racconta che Molaschi avrebbe imparato a suonare la chitarra da un cantastorie ambulante di origine lodigiana o bolognese che concludeva ogni strofa intonando “E ticch e dài… el barbapedanna!”.
Se non ci sono prove sufficienti per determinare l’origine della tradizione di Barbapedana, si può comunque notare l’influenza che la figura di Molaschi ha avuto nel corso del secolo scorso: principalmente nell’abbigliamento che indossava durante le sue esibizioni, diventato iconico, con una lunga zimarra e un cappello a cilindro di feltro, sul cui nastro era infilata una penna di gallo o una coda di scoiattolo.
Le cronache delle esibizioni di fine Ottocento parlano dei Minstrels Dumond, un quartetto di musicisti che si esibiva nei Café-concert indossando abiti simili e che erano stati soprannominati “I Barbapedana” dai cittadini milanesi.
La figura di Barbapedana è stata anche ricordata in chiave nostalgica come simbolo di una Milano ormai passata, come narrato da Enrico Frati ed Eros Sciorilli nella canzone “È tornato Barbapedana” (1930).
La canzone “El Piscinin” (nota anche come “De tant piscinin che l’era”) è stata interpretata nel corso degli anni da numerosi cantanti, tra cui Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Ornella Vanoni, Nanni Svampa, Il Nuovo Canzoniere Italiano, Milly, Franca Valeri, e inserita in spettacoli tradizionali come “Milanin milanon” e “Bella ciao” (Il Nuovo Canzoniere Italiano).
I Longobardeath, una band che reinterpreta in chiave heavy metal le canzoni della tradizione milanese, hanno registrato una propria versione.