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Signore dell’Arte, magnifiche artiste vissute tra il ‘500 e il ‘600

Dal 2 marzo al 25 luglio 2021, le sale di Palazzo Reale di Milano ospitano una mostra unica dedicata alle più grandi artiste vissute tra ‘500 e ‘600: Artemisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani, Fede Galizia, Giovanna Garzoni e molte altre.

La mostra è promossa dal Comune di Milano-Cultura e realizzata da Palazzo Reale e Arthemisia, con il sostegno di Fondazione Bracco, e aderisce al palinsesto I talenti delle donne, promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e dedicato all’universo delle donne, focalizzando l’attenzione, per tutto il 2020 e fino ad aprile 2021, sulle loro opere, le loro priorità e le loro capacità.

Con la mostra Le Signore dell’Arte, storie di donne tra ‘500 e ‘600, l’arte e le incredibili vite di 34 artiste vengono oggi riscoperte attraverso oltre 130 opere, a testimonianza di un’intensa vitalità creativa tutta al femminile, in un singolare racconto di appassionanti storie di donne già “moderne”.

Vi sono le artiste più note ma anche quelle meno conosciute al grande pubblico; ci sono nuove scoperte, come la nobile romana Claudia del Bufalo, che entra a far parte di questa storia dell’arte al femminile, e ci sono opere esposte per la prima volta come la Pala della Madonna dell’Itria di Sofonisba Anguissola, realizzata in Sicilia, a Paternò, nel 1578 e mai uscita prima d’ora dall’isola; così come lascia per la prima volta Palermo la pala di Rosalia Novelli Madonna Immacolata e san Francesco Borgia, unica opera certa dell’artista, del 1663, della Chiesa del Gesù di Casa Professa; o la tela Matrimonio mistico di Santa Caterina di Lucrezia Quistelli del 1576, della parrocchiale di Silvano Pietra presso Pavia.

Signore dell’Arte
Signore dell’Arte

Sotto la curatela di Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapié, le opere selezionate per la mostra provengono da ben 67 prestatori diversi, tra cui – a livello nazionale – le gallerie degli Uffizi, il Museo di Capodimonte, la Pinacoteca di Brera, Castello Sforzesco, Galleria nazionale dell’Umbria, la Galleria Borghese, i Musei Reali di Torino e la Pinacoteca nazionale di Bologna e – dall’estero – il Musée des Beaux Arts di Marsiglia e il Muzeum Narodowe di Poznan (Polonia).

Tra le eroine in mostra a Palazzo Reale domina per celebrità la figura di Artemisia Gentileschi: figlia di Orazio, icona di consapevolezza e rivolta, artista e imprenditrice, la sua arte rivaleggia con quella degli stessi pittori uomini dell’epoca e il suo successo la porta allo scarto dalla sua categoria sociale; un esempio di lotta contro l’autorità e il potere artistico paterno, contro il confinamento riservato alle donne.

Signore dell’Arte
Signore dell’Arte

Di Sofonisba Anguissola – cremonese che visse oltre dieci anni alla corte di Filippo II a Madrid, per poi spostarsi in Sicilia quando sposa il nobile Fabrizio Moncada, e poi a Genova dopo il secondo matrimonio con Orazio Lomellini, e di nuovo in Sicilia, dove fu visitata da Antoon van Dyck nel 1624 – saranno esposti capolavori assoluti come la Partita a scacchi (del 1555 e proveniente dal Muzeum Narodowe di Poznan, Polonia), la già citata Pala della Madonna dell’Itria (1578), che è stata oggetto di un importante restauro realizzato grazie alla collaborazione con il Museo civico Ala Ponzone di Cremona.

E ancora Lavinia Fontana – bolognese e figlia del pittore manierista Prospero Fontana -, che a 25 anni sposa il pittore imolese Giovan Paolo Zappi alla sola condizione di poter continuare a dipingere, facendo così del marito il proprio assistente – in mostra con 14 opere, tra cui l’Autoritratto nello studio (1579) degli Uffizi, la Consacrazione alla Vergine (1599) del Musée des Beaux-Arts di Marsiglia, e alcuni dipinti di soggetto mitologico di rara sensualità.

E poi ancora la pittrice bolognese Elisabetta Sirani, in mostra con potenti tele in cui sono raffigurati il coraggio femminile e la ribellione di fronte alla violenza maschile, come in Porzia che si ferisce alla coscia (1664) e in Timoclea uccide il capitano di Alessandro Magno (1659) del Museo di Capodimonte di Napoli; Ginevra Cantofoli, con Giovane donna in vesti orientali (1650 circa); Fede Galizia con l’iconica Giuditta con la testa di Oloferne (1596); Giovanna Garzoni, altra modernissima donna che visse tra Venezia, Napoli, Parigi e Roma, in mostra con rare e preziose pergamene.


 

 

 

 

 

 


LA MOSTRA
Figlie, mogli, sorelle di pittori, o a volte donne di religione: la mostra Le Signore dell’Arte presenta attraverso 5 sezioni non solo la grandiosa abilità compositiva di queste pittrici, ma – tramite il racconto delle loro storie personali – guarda al ruolo da loro rivestito nella società del tempo, al successo raggiunto da alcune di esse presso le grandi corti internazionali, alla loro capacità di sapersi relazionare, distinguere e affermare trasformandosi in vere e proprie imprenditrici, e di sapersi confrontare con i loro ideali e diversi stili di vita. Nomi altisonanti ma non solo: la mostra, porta in evidenza una costellazione di giovani talentuose che, seppur con storie e percorsi differenti, fanno comprendere come il ruolo delle donne acquisito nel corso del XVI e XVII secolo non sia legato solo a singoli episodi sporadici o straordinari, ma è un fenomeno che abbraccia tutta l’Italia.

Ognuna delle loro storie è un racconto avvincente, che parla di viaggi attraverso l’Italia e l’Europa o di lunghe clausure, di percorsi interrotti precocemente o di vite quasi centenarie, di produzioni artistiche prolifiche o limitate, di comportamenti trasgressivi o condotte morigerate.
Autoritratti volitivi come segno della consapevolezza del loro ruolo di artiste, ritratti di intensa penetrazione psicologica, eroine dell’antichità come esempi di ribellione e forza d’animo, figure storiche mitologiche e allegoriche, composizioni naturalistiche o simboliche di fiori frutti e animali, scene religiose e mistiche che riflettono il complesso dibattito del tempo: ogni soggetto è accuratamente indagato dall’occhio attento delle artiste.
I misteri della psiche, le virtù femminili, l’eroismo intimo e quotidiano, ma anche il pathos del tradimento, dell’inganno, del pentimento: tutti i sentimenti sono svelati attraverso una poetica pittorica intensa e partecipata. Questo mondo complesso affascinante e misterioso viene presentato per la prima volta in Italia, in una ricognizione ricca di scoperte e di nuove prospettive.

La mostra presenta cinque sezioni in cui sono narrati diversi percorsi di formazione e di successo professionale.

PRIMA SEZIONE – Le artiste del Vasari
Nella prima edizione delle Vite de’ più eccellenti pittori scultori et architettori (1550), Vasari dedicò una sola biografia a un’artista: la scultrice bolognese Properzia de’ Rossi, che non disdegnò “di mettersi con le tenere e bianchissime mani nelle cose mecaniche e fra la ruvidezza de’ marmi e l’asprezza del ferro”. Properzia aveva lavorato nel cantiere tutto maschile della basilica di San Petronio, e difeso la propria attività letteralmente con le unghie, finendo anche a processo per avere “sgraffignato” qualche detrattore.

Nella seconda edizione delle Vite (1568) sono citate più artiste. In particolare, il rapporto epistolare tra Amilcare Anguissola e Michelangelo, al quale il nobile cremonese fece pervenire due apprezzati disegni della figlia Sofonisba, lo spinse nel 1566 a recarsi a casa Anguissola: Sofonisba era da anni alla corte di Filippo II a Madrid, ma Vasari conversò a lungo con Europa, anche lei pittrice, come la sorella Lucia, morta nel 1565.

Scrisse dunque estese notazioni sulle sorelle Anguissola, sottolineando l’eccezionalità del loro caso, scaturito da uno status privilegiato, che permetteva di affiancare lo studio al talento naturale: “bisogna avere da natura inclinazione alla virtù, e poi a quella aggiugnere l’esercizio e lo studio come hanno fatto queste quattro nobili e virtuose sorelle, tanto innamorate d’ogni più rara virtù et in particolare delle cose del disegno, che la casa del signor Amilcare Angosciuola (perciò felicissimo padre d’onesta et onorata famiglia) mi parve l’albergo della pittura, anzi di tutte le virtù”.

SECONDA SEZIONE – Artiste in convento
Nelle sue Vite, Vasari cita due monache artiste: la carmelitana Antonia Doni, morta nel 1491, figlia del pittore Paolo Uccello, e la domenicana Plautilla Nelli, che all’epoca era priora nel monastero di Santa Caterina da Siena a Firenze. Plautilla, che seguiva la severa spiritualità savonaroliana, si era formata copiando i disegni di Fra’ Bartolomeo, e organizzò con le consorelle una bottega in cui realizzavano opere devozionali destinate anche al mercato.

Antecedente illustre fu Caterina Vigri da Bologna, artista alla quale nel 1710 venne dedicata l’Accademia clementina, due anni prima che fosse proclamata santa. Maggiore formazione ebbero due monache del Seicento, Orsola Maddalena Caccia e Lucrina Fetti, sorella del pittore Domenico, attiva nel convento mantovano di sant’Orsola. Orsola Maddalena Caccia fu istruita dal padre Guglielmo, noto come il Moncalvo, che aveva lavorato con Federico Zuccari alla Grande Galleria di Carlo Emanuele I a Torino e a Milano con gli artisti di Federico Borromeo.

Nel 1620, a 24 anni, entrò con le sorelle nel monastero delle Orsoline di Bianzé; nel 1625 il padre istituì un monastero “domestico” a Moncalvo, presso Asti, volendo riavere accanto a sé le figlie monache e “goder delle fatiche di sor Orsola Maddalena”. Badessa dal 1627 al 1652 circa, proseguì la sua attività almeno fino al 1670, catalizzando la vita della comunità moncalvese attorno alla sua officina pittorica, trasformando il recinto claustrale in un luogo eletto delle arti e della cultura. La sua pittura spaziò dalle pale d’altare ai quadri da camera, a una preziosa produzione di nature morte.

TERZA SEZIONE – Storie di famiglia
Se era quasi impossibile per una donna che non fosse di famiglia altolocata studiare le tecniche e i metodi della pittura, per la maggior parte delle artiste italiane o straniere la bottega paterna fu il luogo di formazione.

Da nord a sud Italia, molte furono le donne che fecero dell’arte la loro professione ereditando da un familiare il mestiere e spesso anche la bottega e i committenti: da Milano, dove probabilmente nacque Fede Galizia, figlia del miniaturista trentino Nunzio, attiva poi soprattutto in Lombardia, fino a Palermo, dove nacque Rosalia Novelli, figlia del pittore Pietro, intraprendente figura femminile che rivestì un importante ruolo sociale. Accanto a storie di attività svolte interamente sotto l’influenza paterna, come quella della ravennate Barbara Longhi, figlia di Luca, ricordata dal Vasari per la sua grazia, e della cremonese Maddalena Natali, che seguì il padre Giovanni Battista a Roma, ci sono esempi di artiste che ricercarono l’indipendenza dal modello paterno, superando in affermazione sociale e apprezzamento critico i loro maestri.

È il caso a Bologna della celebre Lavinia Fontana, la quale acquisì quella fama e quegli onori che il padre aveva dilapidato, così come Elisabetta Sirani, pittrice scomparsa a ventisette anni, che in soli dieci anni di attività superò il genitore, il pittore reniano Giovan Andrea, maestro anche di Ginevra Cantofoli. Nell’area veneta, divenne leggendario l’intenso amore che legò Tintoretto alla figlia Marietta, cresciuta nella sua bottega e morta giovanissima, e la dedizione della pittrice Chiara Varotari al fratello Alessandro, il famoso Padovanino.

QUARTA SEZIONE – Le Accademiche
La prima donna a essere ammessa in un’associazione di artisti fu la mantovana Diana Scultori. Trasferitasi a Roma nel 1575, nel 1580 viene accolta nella Compagnia di San Giuseppe di Terrasanta, dedicatario della cappella al Pantheon assegnata nel 1542 da Paolo III in giuspatronato all’associazione. La Compagnia, riservata a pittori, scultori e architetti, aveva come scopo soprattutto attività assistenziali, e sarà chiamata Accademia dei Virtuosi da Giovanni Baglione.

Diverse sono le finalità dell’Accademia delle Arti del Disegno fondata nel 1563 a Firenze da Giorgio Vasari con l’approvazione di Cosimo I de’ Medici, nata dall’intento di veder riconosciuta l’eccellenza degli artisti e di assicurare la trasmissione del loro sapere attraverso l’insegnamento. Artemisia Gentileschi venne ammessa nell’Accademia fiorentina nel 1616. A Roma, esisteva l’Università dei Pittori, Miniatori e Ricamatori che nel 1577, su iniziativa del pittore Girolamo Muziano, si trasformò in Accademia delle Arti della Pittura, della Scultura e del Disegno, un’istituzione che confluirà nell’Accademia di San Luca, fondata da Federico Zuccari nel 1593 con gli stessi intenti dell’Accademia vasariana. Nel 1607 lo statuto fu modificato per consentire la partecipazione femminile, priva però del diritto di presenziare alle sedute esecutive.

Gli elenchi riportano i nomi di diverse artiste: Lavinia Fontana, Anna Maria Vaiani, Maddalena Corvina, Giovanna Garzoni, Plautilla Bricci, Virginia Vezzi, Elisabetta Sirani, Isabella Parasole, Teresa Del Po, Lucia Neri, Ippolita De Biagi, Giustiniana Guidotti, Caterina Ginnasi.

QUINTA SEZIONE – Artemisia Gentileschi “valente pittrice quanto mai altra femmina”
Filippo Baldinucci, biografo e pittore fiorentino, nelle Notizie del disegno da Cimabue in qua, imponente opera pubblicata a partire dal 1681, attribuisce ad Artemisia Gentileschi un primato sulle artiste donne, definendola la più abile di tutte. Nel Novecento la sua storia di donna e la sua valenza artistica sono diventate emblematiche: Artemisia per la sua vita tormentata e trasgressiva è un mito di ribellione, e come pittrice è un manifesto di consapevolezza della propria identità professionale.

Segnata dalla violenza subita a diciott’anni da parte del pittore Agostino Tassi, e dal conseguente processo durante il quale fu sottoposta a tortura, seppe reagire con grande forza d’animo, superando la propria condizione di donna disonorata attraverso il matrimonio con Pierantonio Stiattesi, e costruendo una parallela vita affettiva con l’aristocratico fiorentino Francesco Maringhi, a cui fu legata per gran parte della vita: una condotta che all’epoca suscitò scandalo. Le sue eroine bibliche, come Giuditta, Dalila e Giaele, protagoniste di efferati episodi in cui gli uomini diventano vittime, sono figure emblematiche di rivolta e vendetta, così come il giovane Davide è vincitore sul gigante Golia, in un rovesciamento di ruoli in cui si palesa la forza dei deboli.

Le sue eroine storiche, come Cleopatra e Lucrezia, si impongono con una monumentale e viva corporeità nel momento drammatico del suicidio, scelto pur di non assoggettarsi. Le sue sante, da Maddalena a Caterina d’Alessandria, sono donne che aspirano alla salvezza, attraverso il pentimento o la sapienza. Dotata di ambizione e tenacia, frequenta eruditi e letterati, divenendo da pittrice analfabeta un’accademica a Firenze, ammessa a Venezia e a Napoli nei circoli culturali più elitari. Inquieta e alla costante ricerca di successo, la sua attività la porta fino a Londra, per concludersi a Napoli dove impianta una vivace bottega con diversi collaboratori uomini. Sebbene si dicesse costantemente insoddisfatta della vita e del lavoro a Napoli, Artemisia vi visse dal 1630 fino alla morte: le sue tracce si perdono dopo l’agosto 1654, quando a Napoli imperversava la peste. Appartengono a questo periodo due capolavori in mostra: David con la testa di Golia, visto da Jacob Sandrart nel 1631 nel suo studio, e la Maddalena proveniente dalla collezione Sursock, una delle famiglie più aristocratiche del Libano. Il dipinto è rimasto danneggiato dall’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020, e viene esposto come è in questo momento, prima di essere sottoposto a restauro. È un’opera inedita, mai esposta, e costituisce un’aggiunta fondamentale al catalogo della Gentileschi.

Main sponsor della mostra Fondazione Bracco, da sempre attenta al mondo dell’arte e della scienza, con un forte focus sull’universo femminile. Con entusiasmo Fondazione Bracco ha aderito al progetto della mostra, inserito per altro nel palinsesto ideato dal Comune di Milano I Talenti delle donne, di cui Fondazione Bracco è Main Partner.

Inoltre, come ormai di consueto, anche per questa esposizione Fondazione Bracco ha dato vita a un progetto scientifico, in collaborazione con diverse Università di Milano, che permette di valorizzare una opera presente in mostra attraverso il supporto offerto dalla ricerca tecnologia – l’imaging diagnostico, settore in cui Bracco è leader mondiale: si tratta del Ritratto di Carlo Emanuele I Duca di Savoia di Giovanna Garzoni, pittrice miniaturista ascolana del ‘600, una tempera su pergamena di proprietà dei Musei Reali di Torino.

Scienza e ricerca dunque quali strumenti importanti non solo per il benessere delle persone, ma anche per lo studio delle opere d’arte. La Fondazione nasce infatti dal patrimonio di valori maturati in oltre 90 anni di storia del Gruppo Bracco, con l¹intento di creare e diffondere espressioni della cultura, dell’arte e della scienza quali mezzi per migliorare la qualità della vita e la coesione sociale.

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