Carissima, mi piego alla volontà popolare e, almeno per questa volta, userò il femminile anche se, come sai, io ti ho sempre considerato un maschio. Non che questo faccia differenza sia chiaro: bello o bella sei sempre Tu.
Ti scrivo queste due righe perchè confesso di averti visto in affanno: se ad aprile nell’unico giro che, con permesso alla mano, ti ho visto sì vuota e desolata, avevo comunque la sensazione che fossi pronta a rimetterti in pista da un momento all’altro. Non era voler essere un uccello del malaugurio, ma avevo espresso la mia personale preoccupazione per questi mesi autunnali. E credo di non aver sbagliato più di tanto.
Ti ho vista ieri e ieri l’altro con uno sguardo davvero sofferente. Sì per carità, qualcuno in giro c’era, alcuni andavano al lavoro, altri facevano una passeggiata. Ed ho anche visto notte tempo qualche balordo confondersi tra tanti che volevano semplicemente ed onestamente dire qualche cosa contro gli ultimi provvedimenti che, inevitabilmente, ti hanno incluso. Ma non è questo: quello che ho notato è una sofferenza interiore, una brusca frenata del tuo ottimismo. Forse so perchè, in parte vale anche per me.
Dover rispondere troppo spesso con un “non lo so” alle domande che ti fanno è svilente, frustrante. Non sapere è una delle cose peggiori. Soprattutto quando tutto e tutti ti guardano come punto di riferimento, come se tu potessi sapere sempre tutto. In parte così è stato anche in un passato non troppo lontano: tutti guardavano te e capivano che direzione prendere. Oggi no. Oggi ti guardano e tu guardi loro e si vede il punto di domanda stampata in fronte.
E nel vedere questo, il mondo, quello a te prossimo, si smarrisce. Confesso che è questa la cosa che mi fa più paura e che mi agita in particolar modo: guardarti e non sapere dove andare, che direzione prendere. Ho la sensazione, per usare un termine a te caro, di pirlare tutto il giorno, aspettando un segnale.
Segnale che, lo so, oggi non mi puoi dare. Ma permettimi un consiglio, anche se ovviamente io non ho nè la tua esperienza nè tanto meno la tua storia: prova ancora una volta a guardare il bicchiere mezzo pieno. Facciamo pure che sia pieno per un quarto: fermati a quello, guarda dentro quel poco, cosa si può prendere e migliorare, come partire da lì per riprendere un cammino, interrotto mesi fa, che sappiamo bene non sarà lo stesso, ma nessuno può escludere a priori che quello nuovo possa essere migliore.
E’ faticoso, per te e per tutti noi, ma quello che ci hai insegnato in tanti anni è che quando tutto sembra perduto, se si ha la forza, la voglia e perchè no, un briciolo di fortuna, le cose possono cambiare. Qualcuno ha detto che la vita, quella con la V maiuscola, può essere l’avversario più ostico di tutti. E quando picchia lo fa in modo duro. E’ già successo. E tu, insieme a tutti coloro che ci hanno preceduto, siete sempre riusciti a rialzarvi. Oggi tocca a noi.
Oggi siamo noi che dobbiamo rimetterci in piedi. La campanella non è ancora suonata.