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Amendola Giovanni, non Fiera

Amendola, una piazza, una fermata, un uomo di nome Giovanni.

Nato a Napoli nel 1882 si trasferisce presto a Roma, dove studia, si iscrive alla gioventù socialista e fa l’apprendista al quotidiano del Partito Radicale Italiano. Con i moto popolari scoppiati a Milano e la conseguente repressione del governo, Amendola viene arrestato per aver voluto impedire la chiusura della sua sede socialista.

Scrive di esoterismo e teosofia ed entra in contatto la Loggia della Società Teosofica di cui farà parte nel 1905: sfrutta l’occasione per imparare inglese e francese ma lascia quando si accorge che la loggia altro non è che una varante del protestantesimo.

Nel 1906 sposa Eva Oscarovna Kühn: avranno 4 figli.

Studia la poetica norvegese, scrive per Leonardo, rivista letteraria toscana e collabora con la rivista Il Rinnovamento. Nel frattempo entra ed esce dalla massoneria.

Trasferitosi a Firenze, si laura in filosofia nel 1911 con una tesi su Immanuel Kant; collabora con Il Resto del Carlino e tenta la carriera accademica ottenendo la libera docenza in Filosofia teoretica; nel 1914 è docente di Filosofia teoretica a Pisa, ma l’anno dopo viene assunto nella sede romana del Corriere della Sera. Il ritorno a Roma coincide con la fine della sua avventura accademica e l’inizio di quella politica.

Schierato a favore dell’intervento militare italiano, si arruola come tenente di artiglieria ed ottiene la medaglia di bronzo al valor militare.

Eletto nel 1919 con il partito Democrazia Liberale entra in Parlamento, non lascia l’attività giornalistica, anzi; rieletto nel 1921 nel gruppo Democrazia unitaria, lascia il Corriere per fondare Il Mondo con Andrea Torre e Giovanni Ciracolo.

Nel 1922 entra nel governo Facta come ministro delle colonie, ma con l’arrivo di Mussolini Amendola sceglie la linea della ferma opposizione, schierandosi apertamente contro il fascismo: “Il fascismo ha le pretese di una religione, le supreme ambizioni e le inumane intransigenze di una crociata“.  Queste ed altre parole gli valgono una aggressione.

Dopo il delitto Matteotti, dirà:  “Quanto alle opposizioni, è chiaro che in siffatte condizioni, esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita. […] Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l’illegalismo, esso è soltanto una burla”.

Coalizzerà le opposizioni in quella che verrà chiamata la Secessione dell’Aventino e dichiara di non voler partecipare alle attività parlamentari fino al ripristino della legalità. Proporrà a Benedetto Croce di scrivere un manifesto per riunire tutte le intelligenze anti regime, ma senza ottenere risultati.

Viene aggredito nel 1925 da uomini armati di bastone in provincia di Pistoia:è solo uno dei tanti episodi che Amendola e famiglia subiscono in questo periodo, ma uno dei più violenti. Trasferitosi a Parigi per operarsi e  curarsi ed in seguito a Cannes per il decorso post operatorio, muore il 7 aprile del 1926.

Sepolto a Cannes da esule, la lapide recitava:

«Qui vive Giovanni Amendola…aspettando».

La salma rientrerà in Italia nel 1950.

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