venerdì,22 Novembre,2024
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Bagnera, la via del serial killer insospettabile

Bagnera, via Bagnera. Oltre ad essere la strada più stretta di Milano che congiunge via Nerino con via Santa Marta è la via che si è trovata coinvolta, suo malgrado, in una vicenda alquanto spinosa a cui hanno preso parte un muratore e quattro persone passate a miglior vita per mano del muratore.

Correva l’anno 1849 quando il primo delitto venne compiuto. Facciamo prima un passo indietro e conosciamo il muratore che di nome faceva Antonio Boggia. Originario di Urio, paese sul lago di Como, cominciò presto ad avere problemi con la giustizia a causa di truffe e cambiali non pagate.

Fuggito nel Regno di Sardegna si trovò nuovamente nei guai per una rissa e un tentato omicidio per cui finì in carcere. Approfittando di una rivolta riuscì a fuggire con l’intenzione, forse, di mettere la testa a posto.

Bagnera, la via del serial killer insospettabile

Arrivato a Milano, grazie alla conoscenza della lingua tedesca, riesce a farsi assumere come fochista a Palazzo Cusani. Conosce una bella ragazza e, nel 1831, la sposa prendendo casa in via Nerino al 2.

Tutto procede apparentemente in maniera normale finché Ester Maria Perrocchio, la proprietaria dello stabile di via Nerino, 2 sparisce nel nulla. Il figlio, Giovanni Murier, ne denuncia la scomparsa e il giudice Crivelli che si occupa delle indagini scopre l’esistenza di una procura falsa stipulata davanti a un notaio di Como che investiva Antonio Boggia del ruolo di amministratore unico dei beni della donna.

Tornando a dove eravamo rimasti, accennavamo che il primo delitto avvenne nel 1849. Angelo Ribbone, la vittima, venne derubato di 1.400 svanzische e il cadavere smembrato e nascosto in uno scantinato sito nella Stretta Bagnera (così si chiamava via Bagnera all’epoca) che il Boggia usava come magazzino ed ufficio.

Ci fu poi un anziano contabile, tal Giovanni Comi, che se la vide brutta: andò a curiosare nel magazzino del Boggia e riuscì a scampare miracolosamente all’attacco a colpi d’ascia che questi gli voleva infliggere. Arrestato venne condannato dalla giustizia austriaca a tre mesi di manicomio criminale, passati i quali tornò libero.

C’era quindi la denuncia del Comi a suo carico, la denuncia di scomparsa della Perrocchio a cui si aggiunsero le testimonianze dei vicini di casa secondo cui il muratore armeggiava con materiali da edilizia in questo magazzino. Al giudice Crivelli non occorreva altro: fece fare un sopralluogo e una perquisizione: venne trovato il cadavere della Perrocchio murato in una nicchia e i resti di Ribbone e di altri due sfortunati sotto al pavimento.

Subito arrestato durante il processo il Boggia confessò gli omicidi cercando però di farsi passare per pazzo. Inutile: venne condannato a morte e impiccato l’8 aprile del 1862. La sua testa venne messa a disposizione di Cesare Lombroso, il padre della criminologia, che, analizzandola, ebbe conferma delle sue teorie sul delinquente nato.

Nella sentenza del Tribunale di Milano il Boggia viene descritto come “un uomo dai modi calmi, con un esteriore quasi di bonarietà, esatto osservatore delle pratiche religiose, estraneo, almeno apparentemente, da viziose tendenze”.

L’apparenza inganna davvero. E non così di rado.

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