Giacomo Carissimi, oltre ad essere una via che interseca Melchiorre Gioia ed una parallela del più conosciuto viale Marche, è il nome di un compositore barocco che Milano ricorda per la sua grandezza, pur non avendo mai avuto il piacere di ospitarlo tra le sua mura.
Giacomo Carissimi nasce a Marino nel 1604 e qui riceve i suoi primi insegnamenti musicali. Notato per le sue doti canore a 18 anni entra nel coro del duomo di Tivoli ed essendo anche un buon musicista, nel giro di un anno, ne diventa l’organista.
Fortuna vuole che l’arcidiacono del duomo di Tivoli, Monsignor Getulio Nardini, nel 1628 diventa vicario apostolico ad Assisi e, grazie a lui, il nostro Giacomo Carissimi diventa maestro di cappella nella Cattedrale di San Rufino.
Dopo circa un anno lascia l’incarico e si trasferisce a Roma dove diventa maestro di cappella della chiesa di Sant’Apollinare annessa al Collegio Germanico-Ungarico. Godendo di una certa fama si dedica anche all’insegnamento del canto e della composizione a giovani virgulti che devono ricevere un’adeguata formazione musicale.
Quando si eccelle in qualcosa, si sa, spesso si viene corteggiati ed è proprio quello che accade a Giacomo Carissimi che nel 1643 viene invitato a candidarsi come maestro di cappella della basilica di San Marco a Venezia in seguito alla morte di Monteverdi. Nel 1647 invece è l’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo a volerlo come maestro di cappella nella corte di Bruxelles.
Viene elogiato per la sua capacità di spaziare nei sentimenti nel giro di poche battute dall’amore al dolore, dalla letizia all’indignazione, dalla compassione al timore e dall’audacia allo stupore. In onore del passaggio a Roma della regina Cristina di Svezia, il compositore scrive la musica del dramma sacro Il Sacrificio d’Isacco che viene rappresentato al collegio Germanico-Ungarico. La regina rimane talmente colpita dalla sua bravura da nominarlo “maestro di cappella del concerto di camera”.
Giacomo Carissimi muore a Roma nel 1674 e viene inumato presso la chiesa di S. Apollinare, proprio dove aveva svolto la sua attività lavorativa e dove, al sopraggiungere della morte, era ancora in carica come maestro di cappella.