venerdì,22 Novembre,2024
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Melchiorre Gioia – una via, una persona

Melchiorre Gioia: quante volte ci siamo passati? Quante volte siamo rimasti fermi in coda? E quanto è cambiata questa strada negli ultimi anni?

Tante domande, ma ne manca una: chi era Melchiorre Gioia?

Nato a Piacenza nel 1767 studia nel collegio Alberoni veste l’abito talare e si occupa sia di filosofia che di teologia.

Scopre ben presto la passione per la politica: famoso il suo scritto nel quale sostiene un’Italia libera e repubblicana, sostenuta da istituzioni democratiche. Tesi che gli vale anche un premio: la notizia della vittoria gli arriva in carcere visto che è stato arrestato con l’accusa di aver celebrato più di una messa al giorno a scopo di lucro.

Scarcerato grazie, si dice, alle pressioni di Napoleone, giunge a Milano. Rinuncia al sacerdozio e diventa giornalista, ma le testate per cui lavora vengono chiuse dalla censura austriaca. Incarcerato nuovamente per 14 mesi, viene liberato con la vittoria francese nella battaglia di Marengo.

Nominato storiografo della Repubblica Cisalpina nel 1801 pubblica il trattato “Sul commercio de’ commestibili e caro prezzo del vitto“e “Il Nuovo Galateo“, ma i testi provocano la sua rimozione dall’incarico nel 1803.

Nel 1807 passa alla direzione dell’ufficio di Statistica appena creato: inizia una febbrile attività di studi economici; fu uno dei primi studiosi infatti ad applicare la statistica nella gestione economica dei conti pubblici.

Membro della loggia massonica “Reale Amalia Agusta” di Brescia, Melchiorre Gioia dopo il 1814 scrive il “Nuovo prospetto delle scienze economiche” , il trattato ” Del Merito e delle Ricompense” , “Sulle manifatture nazionali“, “L’ideologia“: gli ultimi tre vengono messi all’indice e lui viene arrestato nuovamente, questa volta in compagni di Pietro Maroncelli e Silvio Pellico per la cospirazione contro l’Austria.

Dopo un anno di carcere, scrive la sua ultima opera: La filosofia della statistica.

Melchiorre Gioia muore a Milano nel 1829. Nel 1855 Ignazio Cantù scrisse:

«Nel cimitero vicino  fra tante ossa ignorate dormono senza fasto di mausoleo le ceneri di Melchiorre Gioia, di Gianbattista De-Cristoforis, di Luigi Sabatelli, di Giacomo Albertolli, e d’altri uomini insigni (…)»

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